Radici di Carbone


 

 Spettacolo di narrazione quasi muto con Clown

 

Dedicato ai figli di italiani migrati in Belgio,

alle anime che cercano radici e

a tutti coloro che hanno più patrie.

  

Drammaturgia e Regia: Laura Costa

Clown: Maurizio Vai, Stefania Milia, Laura Costa

Scenografie e costumi: Maurizio Vai

Sonorizzazioni: Riccardo Vandelli

Attraverso l'evocazione delle esperienze vissute dagli emigrati italiani nelle miniere del Belgio nel dopoguerra, prendono corpo le inquietudini universali dell'appartenenza e dello sradicamento e dell'incontro dell'altro.

Ci sentiamo così più vicini agli immigrati di oggi (ci somigliano, ci riconosciamo), fino a respirare lo smarrimento dell'uomo contemporaneo (tra le incertezze del presente e la domanda di senso della vita) che arriva a percepire di essere “straniero a se stesso”.

Qui inizia qualcosa. 

E sono proprio i clown che possono condurci in questo mondo sconosciuto che pure noi stessi segretamente abitiamo. Ci fanno sentire a casa e sperduti nel mondo allo stesso tempo. Ci restituiscono uno sguardo smarrito e incantato.


      traduire
traduire

 ... la magia del clown racconta la Storia con la S maiuscola che piano piano diventa, per lo spettatore, una "grande" storia sfumata nell'onirico.

Guardando lo spettacolo mi è venuto da pensare che, lo si voglia o no, se noi onoriamo il nostro destino qualunque esso sia, diventiamo forti.

Ma se noi non lo onoriamo perdiamo forza.

Così tutti in un modo o nell'altro abbiamo delle RADICI DI CARBONE con cui fare i conti. 

 

Costanza Serrano Savini, scrittrice

 

Attraverso l'evocazione  delle esperienze vissute dagli emigrati italiani nelle miniere del Belgio nel dopoguerra, prendono corpo le inquietudini universali dell'appartenenza, dello sradicamento e del l'incontro dell'altro. Ci sentiamo così più vicini agli immigrati di oggi (ci somigliano , ci riconosciamo), fino a respirare lo smarrimento dell'uomo contemporaneo (tra le incertezze del presente e la domanda di senso della vita ) che arriva a percepire di essere “straniero a se stesso”. Qui inizia qualcosa.

 

Antonio Masella

 


LIBERAMENTE TRATTO DAL LIBRO DI SONIA SALSI :

“Storia dell'immigrazione italiana in Belgio: Il caso del Limburgo, 2013, Pendragon Bologna